LA CULTURA

 Tradizioni

Una parte fondamentale della tradizione siciliana riguarda i racconti orali, raccolti nell'Ottocento da Giuseppe Pitrè nella Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane. Si va dai cunti, alle fiabe, ai proverbi, agli scioglilingua. Il personaggio stereotipato di Giufà è il protagonista della maggior parte dei racconti che terminano con una morale.

Molti di questi racconti non sono ancora stati codificati del tutto. Esistono tante leggende (come le quattro di Gammazita, fratelli Pii, Uzeta e Colapesce) che hanno una variante in ogni città (della leggenda di Colapesce esistono una trentina di versioni codificate. Esiste una vera e propria mitologia siciliana.

« Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra. La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perché soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo. » (Francesco Paolo Frontini)

Le tradizioni popolari sicule sono numerose e multiformi, poiché vi s’impressero non poche e divergenti colonizzazioni. È facile rammentare, infatti, che l’isola fu via via dominata da Greci, Latini, Bizantini e Arabi, Spagnoli e Francesi, tanto per fare gli esempi più palmari. Com’è ovvio, ciascuno di codesti influssi si esercitò sulla locale etnia in modo più o meno generalizzato, amalgamandosi e scontrandosi di volta in volta con le tradizioni preesistenti, a cominciare da quelle autoctone. La civiltà siciliana e la sua cultura spontanea appaiono perciò insulari, se paragonate agli analoghi frutti che maturano in Sardegna e in Corsica, ma di una ricchezza e di una peculiarità ottimali per uno studioso. Basti ricordare che il folklorista Giuseppe Pitrè dedicò un’opera in venticinque volumi alle tradizioni popolari di quest’area, inglobandovi con pertinenza descrizioni etnografiche e prospettive storiche.

Nel dominio delle tradizioni popolari rientrano le parlate siciliane, per quanto sia stato l’unico complesso di dialetti italici che precedette il toscano nell’elevarsi a dignità di lessico letterario, tanto da contender ad essa il primato, abbastanza lungo, quale lingua nazionale. In pratica, nel siciliano possono distinguersi diverse stratificazioni: a livello fonetico si hanno incontri consonantici di orizzonte prelatino e altri che sembrano apparentarsi alle moderne lingue della zona balcanica. L’etimologia, invece, rimanda alla dominazione romana, quella bizantina e soprattutto quella araba. Per esempio, l’arabico “gibel” (montagna) è componente di molti toponimi: Gibilmanna, Mongibello, Gibellina. Si hanno inoltre diverse province idiomatiche in cui il siciliano s’infrange con caratteristiche locali, e isole linguistiche: e ciò vale per le colonie Albanesi, stanziate prevalentemente nel Peloritano, ma anche a Piana degli Albanesi (vicino Palermo); e per i centri lombardi di Nicosia, Sperlinga, Novara e San Fratello, dove i locali dialetti rivelano addentellati gallo-italici.

Per quanto concerne il patrimonio letterario popolare, va detto che l’ideazione spontanea isolana si muove nell’ambito letterario tanto su temi religiosi o moralistici quanto su soggetti profani, come nel caso dei testi epici del ciclo carolingio del famoso Teatro dei Pupi, degli strambotti in ottava siciliana, e della favolistica che, per quanto appaia ristretta nella tematica, presenta sempre uno sviluppo narrativo esemplare: avvio realistico, ingresso di elementi e fattori sovrumani ben graduato o comunque verosimile, cura attenta dei dettagli, anche nei momenti più fantastici, e una vivacità d’articolazione che non viene mai meno, sia nelle più struggenti vicende amorose o in quei racconti che s’imperniano su un umorismo talvolta sfiorante il grottesco o il surreale.

Al panorama letterario si connettono precisi riferimenti musicali, si cui ora ci si soffermerà, accennando anche a talune manifestazioni coreutiche. Nell’ambito dell’invenzione compositiva spiccano non poche componenti che sembrano derivare dalla musicalità ellenica. La melodia siciliana, per esempio, tende a discendere dall’acuto, anzi dall’acutissimo al grave. Inoltre, di zona in zona, si ha un mutamento caratteristico delle scale impiegate, ognuna delle quali assurge a dignità del “motto del paese”, ma che puntualmente si connettono agli antichi modi greci. Ciò vale in parte anche per la tecnica della variazione che è eminentemente melismatica (fioriture di suoni su una sillaba o vocale del testo), ma poiché, spesso, tali ornamenti inglobano intervalli inferiori al semitono ne risulta che essi potrebbero derivare tanto dalle “chroai” del genere enarmonico ellenico come nelle gamme arabe, ricche, appunto, di simili intervallazioni. Le ascendenze “saracene” si fanno inoltre sentire nelle modalità d’intonazione della voce, sempre tese ed aspre. L’orizzonte culturale ellenico riappare nello strumento principale dell’isola, vale a dire nel “mariòlu”, del tutto simile all’antica “lyra”, anche per i poteri terapeutici che si attribuiscono alle sue sonorità. L’arte musicale è altresì presente nelle manifestazioni della fede Per esempio, con canti di giubilo nelle rappresentazioni del presepe “vivente” di Ciancina (Girgenti, Agrigento) e con lamenti, sostenuti da tamburi e strumenti a fiato, nel racconto della Passione di Cristo, quale si svolge ad Agira, in provincia di Enna.

Al complesso di espressioni testé menzionato si lega l’arte interpretativa del cantastorie. Un tempo, essa era patrimonio di due gruppi principali: i cantori ambulanti veri e propri, dediti alle ballate cavalleresche e alle storie profane, e gli “orbi” (i ciechi), specializzati nelle narrazioni e nei canti religiosi e il cui nomadismo, per ovvi motivi, era limitato al circondario dei luoghi di pellegrinaggio o alle province. Oggi i primi sopravvivono ancora, ma dall’inizio del secolo la loro funzione ha conosciuto un progressivo impoverimento: dapprima per l’influsso della musica “di consumo” e per il volgersi a soggetti di cronaca moderna, perlopiù “nera”, fattori che li hanno sradicati dal terreno più profondo della tradizione, e più recentemente, a causa di un processo d’intellettualizzazione tutto esteriore e dominato, non di rado, da sollecitazioni di politica spicciola.

Non meno interessanti le invenzioni coreografiche, contesto nel quale ha particolare rilievo il “Ballo della cordella”, sicuramente erede di una più antica danza della fertilità, come lasciano indurre il tempo dell’esecuzione (feste di maggio) e i fondamenti delle sue figurazioni. Il ballo della cordella, infatti, si svolge intorno ad un palo, dalla cui sommità pendono lunghe cordicelle multicolori: evidente ricordo stilizzato dell’albero ricco di fiori. Codesti nastri devono essere retti all’estremità libera dalla mano destra di ciascun interprete e intrecciati nel corso della danza. Il centro che ha una sorta d’appannaggio di tale ballo è Petralia Sottana, in provincia di Palermo. Fra le restanti forme coreografiche dell’isola si devono ricordare: l’antica Siciliana, danza di carattere pastorale, in movimento moderato, tagliata in tempo di 6/8, 12/8 o 6/4, entrata nella sfera della musica colta e le danze funebri, pressoché scomparse, che ebbe molta voga nelle “suites” o nelle “sonate” (si prestò anche per la musica vocale e restò sempre una delle forme predilette dai musicisti, tanto che si trova non solo in opere del secolo scorso, ma anche in composizioni da camera di autori moderni).

Il mondo delle credenze e delle leggende, in vario modo, si apparenta al patrimonio favolistico, poetico e musicale poco sopra delineato, costituendone non di rado la fonte prima. Come quasi in tutte le regioni italiane, si rintracciano quivi componenti pagane e cristiane, più o meno commiste, e superstizioni che toccano tutti gli aspetti della vita umana. Nell’area messinese e in quella palermitana, per esempio, è tuttora vivo il ricordo di Cola Pesce, ma molti altri personaggi di natura acquatica ricorrono un po’ in tutto il folklore isolano. Secondo una leggenda sarebbe stato un pescatore vissuto a Messina nell’età dell’imperatore Federico II (sec. XIII), mezzo uomo e mezzo pesce: la sua metamorfosi sarebbe stata l’effetto di una maledizione della madre, stanca di veder il figlio passare tutte le sue giornate nel mare. L’abilità di nuotatore di Cola e il suo strano aspetto avrebbero incuriosito l’imperatore, che, recatosi a Messina, lo avrebbe chiamato e, gettata una coppa o un anello in mare, lo avrebbe invitato a riportargliela. Cola avrebbe obbedito, ma avendo voluto Federico far ripetere la prova, non sarebbe più ritornato in superficie. A prescindere dai più noti ricordi di origine classica, si può qui segnalare la sirena che ogni anno, secondo la vecchia credenza di Modica (Ragusa), nelle notti tra il 24 e il 25 gennaio, emerge dal fondo del mare con un canto dolcissimo e pronta a predire il futuro a chi sappia avvicinarla. Immagini e motivi più inquietanti si registrano altresì in ricorrenza o meno di date precise. Così a Capodarso (Caltanissetta) si ritiene che almeno una volta l’anno si svolga una vera “fiera” di spiriti, nei pressi di un ponte fatto erigere da Carlo V e nel corso della quale si vende, fra l’altro, della frutta che è destinata a divenire d’oro, l’indomani. A Termini Imerese (Palermo) è radicata una leggenda secondo la quale Salomè, la figlia di Erodiade, sarebbe approdata, a suo tempo, a codesti lidi in cerca d’espiazione per la morte di Giovanni Battista, da lei provocata; fece perciò costruire una chiesa in memoria del martire, ma non appena essa fu terminata sarebbe scaturito dalle viscere della terra un fiume di sangue che tutto inaridiva intorno. La bella peccatrice si sarebbe allora annegata in quei flutti. Non appena ciò avvenne – prosegue la leggenda – il giume di sangue sprofondò sottoterra. Ma ogni anno, nella notte di vigilia di San Giovanni, per incantamento, Salomè e il corso di sangue riapparirebbero in superficie, fermando ogni fremito di vita, sino a quando, al mattino, il disco solare, recante la testa decollata del Battista, non costringe nuovamente Salomè e il relativo fiume a ritornare negli inferi. Similmente, a Noto si parla di un tesoro nascosto sepolto in una grotta e custodito dai fantasmi degli “infedeli” che lì l’avevano sepolto; a Sciacca, si tramanda una fosca storia di sangue che comprende la reiterata resurrezione dei morti, a scopo di vendetta, e così via. Il panorama delle credenze attive non è meno ricco di richiami a tempi precristiani. Per esempio, i doni annuali ai bambini sono recati in commemorazione del ritorno dei morti nelle prime notti novembrine. Negli stessi giorni nei locali pasticcieri sono usi confezionare dei dolci, detti appunto dei “morti”, di soggetto macabro: scheletri, teschi e ossa. L’usanza in parola e particolarmente viva nel Palermitano e nel Catanese. La festa di Santa Lucia (13 dicembre), e i giorni immediatamente susseguenti, sino alla vigilia di Natale, sono tenuti propizi per trarre oroscopi sull’andamento dell’imminente anno nuovo. L’Epifania, infine, è unanimemente considerata il primo giorno di carnevale. A proposito di festività merita anche d’esser ricordata la cavalcata del Gigante e della Gigantesca che si svolge a Messina nel giorno di ferragosto, festa dell’Assunta, quasi contrapponendosi alla processione della “vara”: una costruzione piramidale ornata d’immagini di angeli e che reca al vertice le statue della Madonna e di Cristo. Un’equivocabile impronta cristiana ha per contro la “diavolata” di Adrano (Catania): un dramma sacro che vede il vittorioso combattimento dell’arcangelo Michele contro legioni di diavoli e contro la stessa Morte. Naturalmente, lo stesso può dirsi per le famose celebrazioni palermitane della patrona Santa Rosalia, commemorata in tre date diverse, l’11 gennaio, il 15 luglio e il 14 settembre, con imponenti processioni e con gigantesche “vare”, analoga alla “vara” messinese. Su di un alto piano, si segnalano anche le tavolette di ex voto conservate nel santuario di Trecastagni (Catania).

Per quanto riguarda taluni aspetti della cultura ergologica, ben noto è il tipico carretto isolano ad alte ruote, solitamente intagliato e dipinto con scene che s’ispirano alle vicende cavalleresche, narrate dai cantastorie e dal Teatro dei Pupi. Sulle origini di questo mezzo di locomozione non mancano le discussioni fra gli specialisti dell’inizio del secolo. Giuseppe Cocchiara ha però dimostrato che il sistema viario dell’isola non poté permettere la nascita di tale mezzo se non in pieno XVIII secolo. Peraltro gli esemplari più antichi sino a noi pervenuti del carretto siciliano non risalgono, di norma, oltre la metà dello scorso secolo. Negli esemplari più addietro nel tempo le ornamentazioni d’intaglio e le pitture possono essere di soggetto sacro, anziché “carolinge”. Non è certo, tuttavia, questa distinzione iconologica a garantirne l’antichità. Per ciò che concerne l’architettura spontanea osserveremo che essa rientra pienamente nell’orizzonte dello “stile mediterraneo”, tipico di tutto il Mezzogiorno. Qua e là, tuttavia, s’individuano anche agglomerati o singoli edifici a forma di trulli.

Due parole vanno infine espresse sui costumi popolari. Anche in questo settore si hanno riscontri abbastanza evidenti con le altre regioni del meridione della Penisola. L’abito femminile, infatti, per foggia e colori rassomiglia a quelli della Calabria e della Sardegna, variando ovviamente secondo le età e le occasioni. Lo stesso può dirsi per il costume maschile, più severo e caratterizzato da larghe fasce colorate in funzione di cintura.

 

La sicilianità

Le tradizioni popolari della Sicilia sono tutt'ora vive, più nei paesi che nelle città. Queste tradizioni, tanto particolari quanto pittoresche, unite al carattere, al mito e all'approccio alla vita del Siciliano ha creato nel corso dei secoli uno stereotipo che è stato tradotto in parole dal termine sicilianità.

Già Cicerone marchiava i siciliani come «gente acuta e sospettosa, nata per le controversie». Ancora oggi molti autori hanno individuato un tratto comune al comportamento dei siciliani, ovviamente soggettivo, ma probabilmente non del tutto falso. Sono molti gli altri aspetti caratteristici dei siciliani: il senso alto della famiglia e dell'onore, il rispetto per la donna e per la femminilità, ma anche l'attaccamento alla propria terra, la teatralità dei gesti e degli atti, il senso dell'accoglienza, la diffidenza

La famiglia siciliana forma di solito un gruppo molto allargato che include anche anche i cugini più lontani, ma raramente essa è chiusa su se stessa. È molto diffusa l'abitudine di fare grandi tavolate per pranzo o per cena, soprattutto d'estate. Gli orari sono spostati un po' più avanti rispetto al nord, arrivando a pranzare anche alle due di pomeriggio e cenare verso le nove-dieci nella bella stagione. Si tende a trattenersi un po' di più a tavola anche dopo avere consumato la cena.

Gesualdo Bufalino definiva la Sicilia la terra della "luce e del lutto", un luogo di contraddizioni di estremi che si uniscono: così nell'immaginario il siciliano appare come un uomo solare e accogliente ma anche losco e sospettoso, convinto che il suo modo d'essere sia il migliore e il più giusto. Con questi contenuti Tomasi di Lampedusa dichiarava nel suo famoso romanzo Il Gattopardo che in "Sicilia tutto cambia affinché nulla cambi", perché sono gli stessi siciliani a ricercare il cambiamento ma nello stesso tempo a frenarlo, timorosi che esso possa spodestare le secolari abitudini e i privilegi acquisiti.

Una terra e un luogo antropologicamente complesso e nello stesso tempo affascinante da scoprire: nel cinema, nella letteratura e nelle arti in genere. Il senso a volte tragico del destino e ma anche dell'orgoglioso attaccamento alla propria terra e alle proprie radici è testimoniato anche nella letteratura. Notevole è il ritratto lasciatoci da Giovanni Verga, capofila del verismo, nel cosiddetto Ciclo dei vinti, raccolta che include I Malavoglia. Mentre al culto della "roba", il bene materiale ricavato dalla terra e dal lavoro si deve adeguare anche il senso pur così sacro della famiglia, i personaggi che vogliono cambiare il mondo vengono puniti dalla mala sorte che li obbliga a tornare al punto di partenza, alla loro terra e alle loro radici.

L'intraprendenza commerciale dei Malavoglia, colpevoli di volersi allontanare dal proprio paese, è punita col naufragio della barca che trasporta il carico di lupini, e ciò li condanna a una povertà ancora maggiore di quella da cui cercavano di fuggire. Mastro don Gesualdo diventa sì un famoso imprenditore edile dal nulla ma non arriva a godersi il frutto del suo lavoro che alla fine va in eredità ai parenti. Riflessione amara del Verga sulla vita: anche lui, una volta raggiunto il benessere, si rifugerà dal Nord nella sua amata Catania dove, disincantato dalla vita, passerà i suoi ultimi anni.

Singolarità d'atteggiamenti si riscontrano, in altri siciliani:Mario Rapisardi e Giuseppe Aurelio Costanzo, poeti colpevoli, secondo la critica di Benedetto Croce, per aver trasformato il poema in "saggio sociologico”. Nei poemi, i due poeti, la denuncia che fanno non è fine a se stessa ma si congiunge a grandi ideali: giustizia sociale, necessità di cambiamento, ribellione contro un ordine sociale ingiusto, che simbolicamente rappresenta la classe degli umili e degli oppressi che nell'opera degli altri scrittori siciliani è solo capace di rinunce.

 

Feste religiose

Le feste religiose cattoliche rivestono una grande importanza all'interno del folklore siciliano. La festa di Santa Rosalia a Palermo, quella di Sant'Agata a Catania, quella della Madonna della Lettera a Messina, quella della Settimana Santa a Caltanissetta, quella di Santa Lucia a Siracusa, quella di San Giorgio a Ragusa Ibla e le processioni del Venerdì Santo a Enna, la processione vivente della passione a Marsala, e la processione dei Misteri a Trapani.

Altre feste importanti sono:

  • la festa di San Sebastiano di Acireale
  • la festa di San Giacomo a Caltagirone
  • la festa della Madonna della Visitazione a Enna
  • la festa della Santissima Maria dell'Alemanna a Gela
  • la festa della Madonna della Neve a Giarratana
  • la festa di San Giuseppe a Santa Maria di Licodia


Feste laiche

Il Carnevale è festeggiato in Sicilia con manifestazioni tra le più belle e caratteristiche a livello nazionale; particolarmente note sono quelle di Paternò, Valderice, Acireale, Misterbianco, Sciacca, Termini Imerese ed il carnevale di Regalbuto, alte espressioni di folklore popolare e di spensieratezza.

 

Opra dei Pupi

Nel 2001 è stata inserita tra i Patrimoni Orali e Immateriali dell'Umanità dell'UNESCO l'opera dei Pupi, il teatro delle marionette siciliano. Grazie ai cuntastori, i pupi, che rappresentano i personaggi del ciclo carolingio, mettono in scena le storie della Chanson de Roland, dell'Orlando furioso e della Gerusalemme liberata. Il personaggio principale è il cavaliere Orlando, ma vi è anche spazio per Rinaldo, Angelica e altri. Culla dell'Opera dei Pupi è Palermo dove sono presenti numerosi teatri oltre ad un museo ed una scuola famosa come quella dei Cuticchio, altro importante centro è Acireale, cittadina barocca, che vide fiorire quest'arte grazie ai numerosi maestri pupari, fra cui il celebre Emanuele Macrì, a cui è dedicato l'omonimo museo-teatro dove, quotidianamente, è possibile assistere alle rappresentazioni dei maestri pupari.

 

Gestualità

Merita un capitolo a parte l'accentuata gestualità dei siciliani, che li ha tipizzati nel mondo (associata spesso, a sproposito, ad una pretesa intrinseca mafiosità ). Accompagnare un concetto con i gesti è insito nella cultura siciliana da tempi remoti; Il motivo probabile è da ricercare nei suoi rapporti culturali e commerciali con i popoli dell'area mediterranea orientale sin dai tempi più remoti. La grande rimescolanza di lingue e popoli ha senz'altro accentuato l'uso del gesto per meglio comprendersi; è infatti abbastanza naturale, quando non ci si comprende bene tra gente di lingua diversa, usare i gesti per accentuare la comprensibilità del dialogo. Alcuni avanzano anche l'ipotesi che all'origine di questo linguaggio parallelo vi sia stata la necessità di comunicare tra i giovani: un tempo, le restrizioni che imponevano una distanza tra ragazzi e ragazze resero necessaria la creazione di una serie di segni ben precisi che aiutassero a progettare incontri o semplicemente a poter scambiarsi delle idee. Il luogo per eccellenza di queste discussioni mute era la chiesa.

Anche Pitrè si occupò della gestualità siciliana, raccogliendo tutte le informazioni possibili in Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano (1889). Tra le varie informazioni, si riporta la leggenda che narra di un re che, arrivato in Sicilia, vuole mettere alla prova due suoi sudditi sulla supposta capacità di poter dialogare senza parole. I due sudditi, presi alla sprovvista, passano il test e provocano grande meraviglia nel sovrano. La gestualità si dice sia uno degli aspetti della teatralità del siciliano, uno dei tanti modi di dimostrare la necessità di recitare e dar sfogo alla grande creatività

 

Istruzione

Nel 1434 sorse la prima università della Sicilia: il Siciliae Studium Generale, oggi semplicemente Università degli studi di Catania. Il padre della cultura universitaria siciliana è Alfonso V d'Aragona, che patrocinò la nascita dello studio catanese. Fu invece Ignazio di Loyola a fondare, nel 1548 l'Università degli studi di Messina. Sono di più recente istituzione l'Università degli studi di Palermo (1805) alle quali si è aggiunta l'Enna-Kore (2005) semiprivata, inoltre è presente, a Palermo e a Caltanissetta vi sono due sedi della LUMSA. In totale, i tre atenei pubblici più il semipubblico di Enna contano circa 180.000 iscritti.

I livelli dell'università siciliana non sono affatto alti. Uno studio Censis-la Repubblica del 2005 (che non include Enna perché ancora in via di istituzione) classifica Palermo (63.400 iscritti) e Catania (50.700 iscritti) tra i mega atenei, cioè con oltre 40.000 iscritti, mentre Messina (39.600 iscritti) viene posta tra gli atenei medi, tra 40.000 e 20.000 iscritti. Lo studio porta avanti una serie di valutazioni basate su quattro campi (i servizi offerti agli studenti, le borse di studio, le strutture e il web) per stilare una classifica di ogni gruppo di atenei. Palermo è classificato 7° (a pari merito con l'Università di Bari), mentre Catania è 10° su undici mega atenei. Messina invece è 15° su 18. Nei primi due casi, sono le strutture a determinare la bassa classifica (i voti, in centodecimi, sono rispettivamente 71 e 76, i più bassi del gruppo), mentre Messina è carente soprattutto per quanto riguarda i servizi (74).

Si è seguito lo stesso criterio per ogni singola facoltà, la cui classifica però coinvolge tutti gli atenei. Se si escludono quelle non valutate, le facoltà siciliane ricorrono spesso negli ultimissimi posti: tutte e tre per quanto riguarda l'Economia (Catania, Palermo e Messina), Messina e Catania per Medicina e chirurgia, la sola Messina per Scienze della formazione, ancora la coppia Messina-Catania per Scienze matematiche, fisiche e naturali, Palermo per Scienze politiche e Messina per Scienze statistiche. La facoltà migliore sembra Scienze della formazione di Palermo, che è al sesto posto nazionale con 89.4/110.

 

Cucina e gastronomia

La cucina siciliana fa parte di una cultura gastronomica regionale complessa ed articolata, che mostra tracce e contributi di tutte le culture che si sono stabilite in Sicilia negli ultimi due millenni. Dalle abitudini alimentari della Magna Grecia alle prelibatezze dei "Monsù" delle grandi cucine nobiliari, passando dai dolci arabi e dalle frattaglie alla maniera ebraica... tutto contribuisce a rendere varia la cucina siciliana.

La lista dei prodotti tipici è lunghissima. Ogni provincia (e, in molti casi, ogni comune) ha una sua specialità e anche i nomi degli stessi alimenti variano di zona in zona. È universalmente conosciuta la granita siciliana come prodotto comune a quasi tutte le province e pregiato nelle zone di Messina e Acireale. Meno conosciute sono altre due bevande dall'aspetto di latte: l'orzata (dolce) e il latte di mandorla (dolce-amaro). Tra i prodotti salati, sono molto diffusi prodotti presentati nella cosiddetta tavola calda, con gli arancini (o arancine) come punta di diamante di questa categoria. Tipiche del palermitano sono le panelle, le crocchè (crocchette di patate) ed il pani cà meusa (pane con la milza). Del messinese invece i rustici e la focaccia. Ci sono poi molti piatti legati alle melanzane, come la caponata, la parmigiana e la pasta alla norma, i scacci, focacce di grano duro con ripieno a base di prezzemolo, oppure cavolfiori o pomodori, vere e proprie torte salate. Anche il pesce, in molte varietà, è un alimento importante della cucina siciliana e in questo settore molto famoso è il pesce stocco alla messinese. Tipico del trapanese è il cuscus piatto principale della tradizione gastronomica del sud del Mediterraneo, ma contrariamente al resto dei paesi del Maghreb, dove invece è di solito a base di carne, è preparato con il pesce. Tra i dolci tipici della regione non sono da dimenticare i cannoli, la cassata e la torta Fedora.